La leadership
La società del lavoro del terzo millennio è consolidamente e oggettivamente diventata veloce, ma così veloce che mi sto domandando in questo preciso momento, quanti di voi stimati lettori avranno il tempo di leggere per intero questo articolo.
Quanti invece si soffermeranno solo a leggere il titolo e quanti leggeranno trasversalmente l’intero testo, giustificandosi l’operazione con il fatto che hanno appena terminato, al volo, un corso - un altro corso? – si, che gli ha dato gli strumenti per leggere velocemente; ancora più velocemente perché manca tempo, o il tempo è denaro, o chi dorme non piglia pesci, eccetera eccetera…Potremmo andare in avanti per giorni con queste storielle che giustificano l’ingiustificabile in nome del progresso e del tempo risparmiato da dedicare... – a chi o a che cosa? - mai nessuno a cui pongo questa domanda sa rispondere, proprio perché è così tanto impegnato in mille e più faccende che si è già dimenticato della domanda… e della risposta.
Ma cosa c’entra tutto questo preambolo con la Leadership, la formazione e i tre saperi?
C’entra eccome e lo scoprirete continuando a leggermi.
Una volta, e non tanto tempo fa, la società del lavoro era scandita da un tempo più consono ai nostri ritmi, impegni ed interessi. La formazione era anch’essa importante, tuttavia veniva erogata al bisogno o all’interesse ed era sempre accompagnata da una sana e lunga esperienza sul campo.
Ma oltre al tempo che ci sfugge tra le mani come fosse sabbia bianca che ci ricorda un’isola tropicale, da visitare certo, ma in poco tempo evidentemente: cosa sta succedendo a questa pazza società? Mi ricorda molto il Bianconiglio di Alice nel paese delle Meraviglie che correva come un pazzo col suo orologio da taschino cercando di eludere il tempo.
Le aziende stesse riuscivano a fare molti utili, a restare nei preventivi e a superare le più rosee previsioni. I dipendenti avevano le ferie, la quattordicesima e forse anche la quindicesima, c’era meno disoccupazione e la pensione era garantita.
Le persone arrivavano a casa meno stressate, senza tutte le conseguenze che oggi ne derivano, erano più disponibili e avevano ancora tanto tempo da dedicarsi.
La mattina andavano a lavorare certi che la giornata sarebbe trascorsa nel giusto tempo, occupando i ruoli assegnati; il dipendente faceva il dipendente, il capo faceva il capo e il proprietario faceva il proprietario, e senza troppi “ma” né “però”. Il proprietario delineava la missione, il capo conduceva l’intera operazione e indicava la strada scandendo il tempo e il dipendente faceva il resto. Tutti si assumevano le proprie responsabilità che appartenevano al loro compito.
Insomma era un clima più sano o comunque più chiaro, i ruoli erano chiari e meglio definiti e le aziende si potevano appoggiare alle competenze dei loro collaboratori e alle reciproche responsabilità di ruolo, sapendo sempre chi prendeva le decisioni e chi faceva cosa.
Chi si formava lo faceva “per” e “con” un obiettivo ben determinato. Chi decideva di intraprendere la via della formazione sapeva sin dall’inizio che essa non gli sarebbe bastata e sarebbe stato indispensabile acquisire quelle competenze professionali e quel know-how pratico che solo con l’esperienza può condurre a una buona performance. Infatti la scuola, per sua stessa missione, non può trasmettere la parte esperienziale, poiché erogatrice di sola teoria.
Sono le persone che hanno fatto proprio questo mix di teoria, pratica ed esperienza che hanno reso ricco il paese in cui viviamo. Forse erano meno “formate” o, mi viene da dire “informate” di Sapere teorico, ma avevano una lunga storia di Saper fare e Saper essere!
Per carità non me ne vogliano i nuovi imprenditori che ben comprendo, si trovano a lottare con i denti contro la globalizzazione o il mercato cinese che gli erode sempre di più la clientela, anche se, permettetemi di aggiungere, questa sciagurata situazione da qualcuno è stata decisa e non sicuramente dai “vecchi” e saggi imprenditori di una volta, ma certamente da qualche “colletto bianco” con in tasca almeno 3 lauree, un paio di Master e uno o due dottorati con zero esperienza.
Tanto per capirci meglio, sto semplicemente parlando di come il mondo della formazione ha portato a mettere alla testa di aziende centenarie profili erroneamente dichiarati adatti solo perché hanno appeso dietro la loro grande poltrona in ufficio un quadro contenente una stampa di un Dottorato o un Master stampato da qualche Università, senza più tener assolutamente conto, dimenticandosene, le competenze e le performance che dovrebbe possedere il candidato per poter essere efficace ed efficiente nella propria mansione.
Già dagli anni ’60 il mondo della psicologia organizzativa americana tentava di comprendere cosa fosse la competenza e da dove arrivasse. Un crescente numero di ricerche poté stabilire negli anni successivi, che i tradizionali test di attitudine allo studio e di cultura scolastica, così come i titoli e gli attestati scolastici, non predicavano l’attitudine al lavoro e al successo nella vita (McClelland 1973), e potevano essere anche viziati da pregiudizi culturali, sociali, famigliari, ecc. (Fallows 1985).
La competenza può essere riassunta in questo modo:
“una caratteristica intrinseca di un individuo e casualmente collegata ad una performance efficace o superiore nella mansione”. (Boyatzis, 1982)
Abbiamo ora capito che le competenze sono un insieme di caratteristiche intrinseche che la persona possiede o deve possedere per poter ricoprire un determinato ruolo.
Queste caratteristiche le possiamo raggruppare in sole cinque parole:
Sapere - Sapere fare - Sapere essere.
Queste cinque parole, sono niente di meno che i tre pilastri su cui si erge e trae le fondamenta l’intera scienza della formazione.
Sapere: sono le conoscenze teoriche da noi acquisite il più delle volte dalla formazione, quindi appartengono quasi esclusivamente al mondo accademico e alla parte cognitiva.
Sapere fare: è la pratica, cioè la capacità di mettere in atto qualcosa con consapevolezza portando al risultato voluto. Appartiene al mondo del lavoro, alla pratica, alla sperimentazione, all’apprendere grazie alle proprie esperienze e ai propri errori.
Sapere essere: è la capacità di comprendere e comprendersi, mettendo in atto come logica conseguenza comportamenti consoni alla situazione. Appartiene alla sfera più intima ed interna della persona ed è spirituale e/o olistica, quindi al mondo dell’inconscio. E’ la capacità di “sentire”, di “intuire”, di essere al posto giusto al momento giusto e avere il fiuto per qualcosa.
La Leadership invece, è quell’insieme di caratteristiche talvolta apprese, tuttavia spesso innate di creare consenso.
Un buon Leader ha una forte congruenza interna con i suoi valori. E’ carismatico e ha la capacità di influenzare gli altri a raggiungere i risultati, quindi buone capacità comunicative che creano quella giusta empatia e quell’equilibrio relazionale.
E’ sempre d’esempio agli altri, proprio per la sua coerenza. Sa trasferire un messaggio, un consiglio, una lezione, il sapere o una visione, creando e valorizzando competenze tecniche e sociali (trasversali) per costruire spirito d’appartenenza, fidelizzando.
Il Leader ha un evoluto Sapere essere, abilità che gli appartiene, che gli arriva da “dentro”, dalla pancia. Ha sensibilità, capacità interpersonali e intrapersonali, quindi comprende molto bene il suo pubblico e può intervenire con dovuta scienza e coscienza.
Possiamo dunque trarre la conclusione che il Sapere è di appartenenza della formazione, mentre gli altri due Saperi, quelli persi, appartengono al mondo esperienziale del lavoro e al potenziale interno di una persona.
Non credo di stupire nessuno se asserisco che il Sapere fare nient’altro è che il connubio e la compenetrazione del Sapere e del Sapere essere.
E non stupisco nessuno se dico che oggi siamo invasi da una formazione cieca che non vuole accettare l’esistenza di altro oltre al Sapere, e buttandoci fumo negli occhi, ci fa credere che: “più studi e ti formi più sarai un vincente nel mercato del lavoro”.
Sono sempre stato un accanito fautore della formazione continua per un giusto e corretto Sapere. Tuttavia oggi, vedendo come sta andando il nostro paese e vedendo persone a capo di aziende che giocano a scaricarsi addosso le responsabilità come se stessero giocando a battaglia navale, mi chiedo se forse la formazione non abbia preso in ostaggio la Leadership stessa, svuotandola completamente dal suo ruolo. Vediamo sistematicamente rimpiazzati i “vecchi” Leader con dei rampolli super laureati che alle loro spalle hanno solo una manciata di anni, ergo non possiedono alcuna esperienza di vita professionale (Saper fare) e non hanno neppure avuto il tempo di sviluppare un sano Sapere essere, vitale per avere una forte Leadership.
Il paradosso è che li senti parlare dal loro alto Sapere sul significato della parola empatia, di cosa sia il rapport con un’altra persona, di visione e di mission. Addirittura sanno darti la migliore spiegazione da dizionario etimologico della parola “Leadership”, ma che ahimè, ed ecco il nostro dramma, non sanno assolutamente metterla in pratica se non costruendo grandi teorie che portano miseramente a quanto tutti noi stiamo assistendo. La cornice di questa paradossale situazione è che quando cerchi di intervenire e di fare capire, ti rispondono a suon di certificati, dottorati, lauree, master... e sanno anche argomentartelo a dovere!
Concludo questa mia riflessione sostenendo sia giunto il momento che, per salvare la “baracca”, i veri Leader, riprendano possesso del proprio spazio, dei propri ruoli, della propria Leadership, del loro Sapere fare e Sapere essere, ridimensionando e ridelimitando la formazione al suo giusto ruolo di solo Sapere.
2010 Marco Sacchi
Saper fare
“La mente è come un paracadute; funziona solo se si apre”
Albert Einstein